NEW YORK.
Ha entrate annue che sfiorano il mezzo "triliardo" (quasi 500
miliardi di dollari), superiori alla maggior parte degli Stati-nazione del
pianeta. Le agenzie di rating le danno un voto di solvibilità superiore al
Tesoro degli Stati Uniti. Per gli ultimi 60 anni è stata quasi sempre la
multinazionale con più profitti e con il massimo valore in Borsa (solo di
recente sorpassata da Apple).
È
soprattutto «un'entità sovrana indipendente, che tratta gli Stati Uniti da
potenza a potenza, ha la sua politica estera autonoma, e un'organizzazione
interna simile a quella di un grande apparato militare». È la Exxon, la
compagnia petrolifera più grande di tutti i tempi e l'avversaria implacabile
delle riforme ambientaliste. Un colosso capace di esercitare un potere di veto
non solo sui governi del Terzo mondo, non solo sul Congresso di Washington, ma
perfino sulla scienza.
La
rivelazione contenuta in una grande inchiesta americana è proprio questa: il
ruolo sistematico del gruppo petrolifero nel falsificare per anni la scienza
sul cambiamento climatico, finanziare ogni sorta di teorie negazioniste,
influenzando l'opinione pubblica e interferendo sul dibattito politico
americano. Con una «doppiezza» clamorosa: al suo interno, intere task-force di
geologi della Exxon studiano come arricchire la compagnia grazie al cambiamento
climatico.I recenti accordi con Vladimir Putin per lo sfruttamento di
giacimenti sotto l'Artico, sono il primo "dividendo" che la Exxon
incassa da quel riscaldamento ambientale che ha cercato di confutare per anni.
Le rivelazioni sui segreti della Exxon sono contenute nel libro "Private
Empire" ("Impero privato") che esce in questi giorni negli Stati
Uniti.
L'autore, Steve Coll, è una grande firma del giornalismo
investigativo, ha già vinto due premi Pulitzer, tra i suoi libri-inchiesta più
importanti ce n'è uno sul clan dei Bin Laden e uno sulle guerre di George Bush.
È anche presidente della New America Foundation, un think tank di Washington.
Questo libro monumentale (700 pagine) è il frutto di anni di ricerche, 400
interviste, incluse tra queste anche numerose fonti interne alla stessa Exxon.
Fra i temi
affrontati c'è il ruolo della multinazionale petrolifera nel sostenere regimi
dittatoriali che opprimono i loro popoli, si reggono al potere con le armi e le
violenze di massa. Più volte ong umanitarie come Human Rights Watch hanno
denunciato la Exxon per i legami avuti con despoti feroci in Indonesia
(pre-democrazia), Venezuela, Guinea equatoriale, Ciad, nonché con la Russia di
Putin. In certi casi perfino la politica estera degli Stati Uniti è stata
sabotata dalla «politica estera della Exxon». Lo stesso George W. Bush, il
presidente più amico dei petrolieri nella storia d'America, nel 2001 sbottò con
il premier indiano: «Nessuno riesce a influenzare le scelte della Exxon». Un
caso limite è quello del Ciad nel 2006, quando il dittatore locale, il generale
Idriss Déby, fu messo sotto pressione dall'Amministrazione Bush e dalla Banca
mondiale perché destinasse almeno una parte della rendita petrolifera
all'istruzione e alle cure mediche per il suo popolo, anziché all'acquisto di
armi. La Exxon «staccò» un assegno di 700 milioni di dollari per Déby,
permettendogli così di ignorare Bush e la Banca mondiale.
Al centro
delle rivelazioni di Coll c'è la lunga guerra di Exxon contro la scienza.
Un'operazione condotta per anni in modo segreto, usando come schermo dei «centri
studi» pseudo-indipendenti, potenti agenzie di lobbying, comitati di azione per
il finanziamento dei politici. Un'offensiva organizzata con metodi pressoché «militari»,
da parte di una multinazionale che Coll descrive come «una potenza costruita
sulla segretezza aziendale, severe regole di sicurezza interna equiparabili
alle scatole nere che sono le agenzie di intelligence delle superpotenze». Il
chief executive che ha impresso l'influenza maggiore è stato Lee Raymond, lui
stesso un ingegnere chimico di formazione, «convinto di avere personalmente le
conoscenze sufficienti per giudicare gli scienziati climatologi». Mezzi
pressoché illimitati furono messi al servizio di una vasta campagna di
disinformazione, depistaggio, denigrazione: con l'obiettivo di promuovere una «contro-scienza»,
con un «bacino di esperti alternativi», cioè scienziati negazionisti disposti
ad assecondare gli interessi di Big Oil.
Quella
campagna iniziò nel 1993 ma ebbe un'accelerazione e un'escalation di mezzi a
partire dal 1997, in coincidenza con gli Accordi di Kyoto. Anche altre potenze
del petrolio, delle energie fossili, dell'automobile, si opposero a Kyoto. «Ma
la campagna della Exxon - dice Coll - fu unica per il suo attacco alla scienza.
Sia in
prima persona, sia attraverso l'American Petroleum Institute (una Confindustria
dei petrolieri, ndr), cominciarono a finanziare ogni sorta di gruppi e
associazioni neoliberiste, piccoli e grandi, tutti uniti dalla stessa
strategia: sfidare la validità della scienza sul cambiamento climatico, mettendo
in dubbio sia le responsabilità dell'inquinamento industriale sia l'esistenza
stessa di un riscaldamento da CO2».
Coll ha
raccolto le prove che «furono usati metodie tattiche prese in prestito
dall'industria del tabacco quando si adoperò per ritardare la presa di
coscienza dei danni del fumo, in certi casi furono addirittura le stesse
persone o le stesse organizzazioni che passarono da una campagna all'altra».
Nessun altro però ebbe la formidabile efficacia dispiegata dalla Exxon nel
mobilitare una vasta coalizione anti-Kyoto. «Finanziando generosamente piccoli
gruppi di scienziati scettici, spesso privi di competenzee qualificazioni
specifiche, offrendo loro campagne di comunicazione e relazioni pubbliche,
Exxon diede a queste voci un peso sproporzionato nel dibattito scientifico». Il
risultato finale: «Riuscì a creare l'impressione nei mass media e nell'opinione
pubblica che la comunità scientifica era lacerata da una tremenda controversia,
laddove invece questa controversa era marginalee in via di superamento». Non
solo durantei due mandati presidenziali di Bush, ma anche nell'Amministrazione
Obama il potere di veto della Exxon si è rivelato insormontabile: impossibile
far passare al Congresso la normativa « cap-and-trade» con cui Obama avrebbe
limitato le emissioni carboniche; impossibile anche abolire i 4 miliardi di
sussidi annui che il contribuente americano versa a Big Oil (come se non
bastassero i pingui profitti delle compagnie). Di fatto, osserva Coll, gli
Stati Uniti hanno tutti gli svantaggi di una «compagnia petrolifera di Stato»
che condiziona prepotentemente le loro decisioni politiche, senza avere su di
lei alcuna influenza: «La stazza di Exxon, il suo ruolo dentro il sistema
politico, la percentuale del Pil che rappresenta, la sua presenza nel mondo
intero la rendono simile a un ente di Stato; salvo che si oppone ad ogni
regolamentazione e controllo sulle sue attività». La beffa finale, riguardo al
cambiamento climatico, è che la Exxon ne trarrà benefici immensi.
Le sue équipe
geologiche hanno studiato da tempo gli effetti del riscaldamento del pianeta,
anticipando di anni che lo scioglimento dei ghiacci artici avrebbe reso più
facile sfruttare quei giacimenti sottomarini. Ora la Exxon ha potuto annunciare
un patto con Putin, che le apre l'accesso alla zona russa dell'Artico, «e
riserve sottomarine pari a molti miliardi di dollari». Dunque alla fine Exxon
siè «convertita» al cambiamento climatico. Invece nel dibattito elettorale
americano la destra continuaa recitarei dogmi impartiti dagli indottrinatori
dei think tank negazionisti: non solo gli estremisti come Rick Santorume Newt
Gingrich già eliminati dalla gara per la nomination, ma anche il vincitore Mitt
Romney che affronterà Obama a novembre, continua a ripetere la lezione che la
Exxon ha dettato per anni: «Noi non sappiamo che cosa causa il cambiamento
climatico, e spendere miliardi per ridurre le emissioni di CO2 è sbagliato». In
molti Stati, la destra repubblicana è riuscita a imporre che nelle scuole i
prof debbano presentare una versione «imparziale» sul cambiamento climatico,
dando pari peso alle teorie negazioniste. L'investimento della Exxon è stato
ben remunerato.
Articolo di
Federico Rampini
Tratto da la
Repubblica del 04 maggio 2012
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