Ancora scosso dagli eventi assurdi che hanno portato alla morte del calciatore del Livorno calcio, Piermario Morosini, questa settimana mi limito a riportare un articolo, a mio avviso, interessante e che molto mi ha fatto riflettere apparso sul sito internet: senzasoste.it, scritto da nique la police.
La celeberrima frase del compagno Mao,
sulle morti che pesano come piume e quelle che pesano come montagne,
andrebbe sempre fatta uscire dal terreno delle citazioni facili per
riscoprirla nella sua infinita saggezza. Insomma Mao, a maggior ragione
se preso come un sms o un tweet, ci parla sempre della misura con la
quale pesare i fatti sociali.
Il problema dell’unità di misura del
peso sociale della morte è infatti tornato in ballo con l’improvvisa
scomparsa, in diretta tv, di Piermario Morosini. Come per il famoso
pilota del motomondiale, sulla vicenda Morosini sono piovuti
interrogativi differenti che spesso però si somigliavano su una
domanda: perché un peso sociale così forte per la morte di un
calciatore rispetto a quello dato agli infortuni sul lavoro?
Rispondere a questa domanda, che è ricorrente per qualsiasi tipo di
decesso improvviso (nel calcio, nello spettacolo, per le missioni
coloniali come quella in Afghanistan) e che si pone il problema del peso
sociale del lavoro, significa prima di tutto evitare di banalizzare
quanto accaduto. Ovvero che se in una società i riti festivi, come il
campionato di calcio, vengono rovesciati in rituali (mediali e e sul
campo) di elaborazione del lutto tutto questo porta indizi preziosi di
funzionamento della connessione sociale contemporanea. In questo senso
fa bene ricordare la fonte principale di polemica tra due classici del
pensiero della società: Gabriel Tarde e Emile Durkheim. Tarde, detto in
estrema sintesi, rimproverava a Durkheim una impostazione di pensiero
troppo legata a categorie politiche. E, guardando alla vicenda Morosini,
se c’è un tema su cui Tarde non aveva torto è quello che suggerisce
che, se la politica non possiede categorie di spiegazione, la teoria
sociale ne ha di proprie indipendenti e autonome dal politico. Categorie
che, aggiungiamo, vanno usate proprio per evitare di farsi travolgere
dagli eventi sul piano politico. Perché i rituali mediali di
elaborazione del lutto, e le loro ricadute sui territori, sono fatti
concreti molto potenti. Subirli, senza capirli, come se fossero
improvvise precipitazioni piovose può davvero danneggiare la vita
sociale di un territorio.
MOROSINI, UN FATTO SOCIALE TOTALE
La drammatica scomparsa di Piermario Morosini si è imposta come un
fatto sociale totale per due motivi. Prima di tutto bisogna intendersi
su cosa è un fatto sociale totale. In Marcel Mauss è un fatto sociale
un fenomeno che coinvolge la pluralità complessiva dei livelli sociali.
E la drammatica scomparsa di Morosini di fatti sociali totali ne mette
in campo almeno due: i media, di ogni tipo, e il calcio. Il
cortocircuito tra due fatti sociali totali, specie se legati ad una
improvvisa scomparsa, ha infatti un effetto dirompente. In questo caso
l’elaborazione del lutto tende ad imporsi, in modo impetuoso, sia negli
interstizi della società che sul piano personale di ricezione del
dolore. Non sono infatti poche le persone, anche a distanza di centinaia
di chilometri da Livorno, che si sono sentite investite personalmente
di quanto è accaduto a Morosini. E che hanno sentito la necessità di
esprimere, in miriadi di forme, la propria partecipazione. Allo stesso
tempo moltissimi tifosi, e gruppi di tifosi, hanno fatto sentire la loro
solidarietà alla città, alla squadra e alla famiglia di Morosini in
forme calorose ed inattese. Segno che il fatto sociale totale risveglia
un tipo di solidarietà collettiva che nelle nostre società esiste in
condizione di latenza.
UN EVENTO POTENTE
Piaccia o non piaccia, per i gruppi sociali non ha infatti alcuna
importanza la natura del fenomeno in grado di risvegliare i meccanismi
immediati di solidarietà collettiva. E’ importante piuttosto, per
risvegliare la loro carica di comportamento attivo, che sia un fatto
sociale totale, che coinvolge molteplici strati di aggregazione
collettiva, a farli riemergere. Poi ci pensano i dispositivi mediali ad
amplificare, istantaneamente, la potenza del messaggio costruito. Tanto
che il Barcellona, la stessa sera della morte di Morosini, si è
sentito in dovere di giocare con il lutto al braccio. Non molti anni fa
sarebbe stato impensabile che la squadra campione del mondo per club
giocasse, con il lutto al braccio, per onorare la morte di un giocatore
di serie B di una squadra di un altro paese, a centinaia e centinaia
di chilometri di distanza. E qui non c’entra l’aspetto sportivo ma
l’inusitata, rinnovata potenza che oggi ha il fatto sociale totale.
Allo stesso tempo sono proliferate le forme di identificazione
personale con la vicenda Morosini. Non perché, come ha scritto
erroneamente qualcuno, era un campione. Ma perché somigliava
tremendamente a tanti ragazzi della sua età, con in più il portato di
una tragica vicenda familiare ed infine personale.
Di qui si
capisce, su un piano oggettivo non certo di valore, perché la vicenda
Morosini pesa socialmente più delle morti sul lavoro. Primo perché i
media difficilmente amplificano le morti sul lavoro come fatti sociali
totali (salvo stragi spettacolari come la Thyssenkrupp e assimilabili)
secondo perché i decessi sul lavoro, come elaborazione del lutto che
sospende ogni normalità, tendono a riprodurre la propria carica
simbolica e di significato entro interstizi sommersi di società.
Siccome i media non sono un prodotto della natura, ma un processo di
complessa negoziazione sociale, chi si propone come soggetto politico
deve essere in grado di contrattare con i media l’importanza del
messaggio collettivo sulle morti del lavoro e di proporre, con forza, le
proprie piattaforme di costruzione di significato. Con l’attuale stato
delle cose, comunque la si pensi, non c’è però da stupirsi che la
morte di un calciatore pesi socialmente in questo modo. Come c’è da
capire che tutti i significati socialmente costruiti, come appunto la
morte di un giovane di nemmeno 26 anni, tendono poi ad essere
collettivamente rielaborati per uscire dal contesto che li ha prodotti.
Per poi traslocare, per un processo di produzione sociale della
somiglianza di significato, magari in ambiti come quello del lavoro.
LIVORNO OGGI SENZA PROTEZIONE RISPETTO AI FATTI SOCIALI TOTALI. NO ALLA CITTA’ SET TELEVISIVO.
La morte di Morosini, come fatto sociale totale non certo come evento
legato allo sport, ha investito in pieno Livorno. Qui si consenta l’uso
di una metafora piuttosto cruda: il passaggio di un tifone ha un certo
effetto in una città con dei robusti condomini, magari costruiti con
criteri antisismici giapponesi, e ne ha un altro se passa su una distesa
di case di legno. L’irrompere del fatto sociale totale se non trova
protezione, intendendo con questa la capacità di elaborazione autonoma
di significato rispetto agli eventi, si impone con il suo significato
grezzo, indipendente dalla vita stessa di un territorio. Anzi, tende a
disporla secondo i significati e i linguaggi prodotti dall’evento
sociale totale che è stato elaborato, si badi bene, al di fuori del
territorio su cui si posa.
Livorno è oggi definibile un territorio
solo se inteso come luogo dove si sovrappongono reti di sopravvivenza e
di adattamento alla crisi. Il tessuto istituzionale è disarticolato,
quello culturale è sommerso, si stenta a vedere legame sociale. Livorno
è ormai persino priva di un centro urbanistico definibile come tale
(effetto della retorica di centrosinistra sul policentrismo, nella
quale si annida la legittimazione delle speculazioni urbanistiche). In
poche parole, per l’elaborazione dei significati legati
all’elaborazione del lutto, Livorno rischia di essere ostaggio dei
media. Che hanno altre esigenze, produrre dolore in prima serata per il
fatturato pubblicitario, che esistono per l’elaborazione intensiva
delle tragedie (ruolo su cui si sono socialmente specializzati) e non
tengono conto né della tutela dei processi dell’elaborazione spontanea
del dolore né delle necessità, tramite l’elaborazione del lutto, di
coesione sociale di un territorio.
In sintesi, quello che non deve
accadere è che Livorno diventi la Cogne, la Avetrana o l’isola del
Giglio del dolore calcistico, un serial ad uso e consumo dell’industria
del dispiacere a distanza. L’informazione rispetto ad un evento, anche
con i suoi eccessi di semplificazione, è un fatto mentre è un altro la
costruzione di una Gardaland (con eventi continui, trasmissioni
sensazionalistiche, iniziative, giochi a premi) del lutto calcistico.
Dove l’elemento trainante non è l’elaborazione collettiva del
significato, che aiuta a sedimentare legame sociale, ma la logica e il
relativo business dello spettacolo.
La morte di Morosini non deve
quindi pesare socialmente né come una piuma né come una montagna. Se
pesasse come una piuma significherebbe che una città non è in grado di
elaborare gli eventi della vita. Se pesasse come una montagna
significherebbe che il significato della sua scomparsa sarebbe
governato dai media e non dal territorio sul quale si è abbattuto. La
stessa famiglia di Morosini l’ha capito, chiedendo di interrompere la
trasmissione delle immagini che riguardano il momento della morte del
calciatore amaranto. C’è un confine tra il diritto di cronaca e la
riproposizione morbosa dell’evento. L’intervento della famiglia di
Morosini significa che questo confine è già stato toccato. Una volta
oltrepassato stabilmente questo confine c’è la Gardaland del dolore
calcistico che non ha alcun riferimento con il dramma reale o con la
vita di un territorio.
Allo stesso tempo, chi si propone come
soggetto politico questi fenomeni deve comprenderli, anche se sembrano
non parlare il linguaggio della politica, prevedendo capacità di
intervento. Ciò che fa radicamento sociale ha comportamenti e linguaggi
diversi da come se li immagina la razionalità politica. Ma non è un
dramma, l’importante è capire questa diversità, farla propria senza
lasciarsi travolgere.
Articolo tratto da Senza Soste, nique la police
16 aprile 2012
Informazioni personali
- Andrea Viaggi
- Melbourne, Vermont, Australia
- Salve a tutti. Come potete vedere, il titolo del mio blog prende spunto dalla parole di un personaggio storico molto controverso, ma che sicuramente ha lasciato un enorme segno: "Ye shall know the truth, and the truth shall make you free = conoscerete la verità, e questa vi renderà liberi". Ecco, ho reputato giusto titolare il mio blog in questo modo. La verità vi/ci renderà liberi. Ovviamente non predendo certo di essere io la Verità assoluta, questo blog ha soltanto l'intento di condividere con il maggior numero di persone, temi di attualità politica e sociale, toccando anche, se possibile argomenti "scottanti". Vorrei credere che all'interno di questo piccolo spazio virtuale, le persone si sentano libere di parlare, informarsi, ma sopratutto crescere culturalmente e non solo. Questo è il mio sogno/desiderio. Spero durante questo percorso di poter creare interessanti dibattiti contro ogni forma di censura. Non dobbiamo mai aver paura di manifestare il nostro dissenso e la nostra voglia costante di ricercare la verità nelle cose. "Possiamo essere liberi solo se tutti lo sono". Georg Hegel
4/17/2012
Morosini va ricordato degnamente. Per questo Livorno non diventi la Gardaland del dolore calcistico
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mamma mia che brutto articolo!!! vetusta impostazione marxista, e tipica vanagloria livornese in fase espositiva!! a un certo punto gli volevo gridare "eh police, si 'apisce che in vita tua hai letto solo emile durkheim e karl marx"... c'è da far notare che anche il police si fionda sul "fatto sociale" così com'è, salvo poi ammonire il circo mediatico come fosse novità.. lui si fionda sulla morte di morosini, vuoi perchè gli fa scrivere un articolino, vuoi per altri motivi.. ma "c'ha mangiato" anche lui.. e poi, la ripetizione ossessiva degli stessi vocaboli ne svuota il significato, lo sa anche la mi nonna... sociale, politico, elaborazione.. non significano niente.. nell'analisi di police. punti di vista, sia chiaro. saluti
RispondiEliminasix
Sulla questione dei fattori sociali e la troppa vanagloria sono perfettamente con te caro il mio SIX, non fare però come police che ti nascondi dietro un nomignolo... (si fa per ruzzare checco è)!
RispondiEliminaPiuttosto sono felice che alimenti il dibattito. Per ogni suggerimento, sfondi una porta aperta, quindi un sfondi un ber nulla.
A Presto
Andrea