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Salve a tutti. Come potete vedere, il titolo del mio blog prende spunto dalla parole di un personaggio storico molto controverso, ma che sicuramente ha lasciato un enorme segno: "Ye shall know the truth, and the truth shall make you free = conoscerete la verità, e questa vi renderà liberi". Ecco, ho reputato giusto titolare il mio blog in questo modo. La verità vi/ci renderà liberi. Ovviamente non predendo certo di essere io la Verità assoluta, questo blog ha soltanto l'intento di condividere con il maggior numero di persone, temi di attualità politica e sociale, toccando anche, se possibile argomenti "scottanti". Vorrei credere che all'interno di questo piccolo spazio virtuale, le persone si sentano libere di parlare, informarsi, ma sopratutto crescere culturalmente e non solo. Questo è il mio sogno/desiderio. Spero durante questo percorso di poter creare interessanti dibattiti contro ogni forma di censura. Non dobbiamo mai aver paura di manifestare il nostro dissenso e la nostra voglia costante di ricercare la verità nelle cose. "Possiamo essere liberi solo se tutti lo sono". Georg Hegel

4/17/2012

Morosini va ricordato degnamente. Per questo Livorno non diventi la Gardaland del dolore calcistico

Ancora scosso dagli eventi assurdi che hanno portato alla morte del calciatore del Livorno calcio, Piermario Morosini, questa settimana mi limito a riportare un articolo, a mio avviso, interessante e che molto mi ha fatto riflettere apparso sul sito internet: senzasoste.it, scritto da  nique la police.


La celeberrima frase del compagno Mao, sulle morti che pesano come piume e quelle che pesano come montagne, andrebbe sempre fatta uscire dal terreno delle citazioni facili per riscoprirla nella sua infinita saggezza. Insomma Mao, a maggior ragione se preso come un sms o un tweet, ci parla sempre della misura con la quale pesare i fatti sociali.
Il problema dell’unità di misura del peso sociale della morte è infatti tornato in ballo con l’improvvisa scomparsa, in diretta tv, di Piermario Morosini. Come per il famoso pilota del motomondiale, sulla vicenda Morosini sono piovuti interrogativi differenti che spesso però si somigliavano su una domanda: perché un peso sociale così forte per la morte di un calciatore rispetto a quello dato agli infortuni sul lavoro?
Rispondere a questa domanda, che è ricorrente per qualsiasi tipo di decesso improvviso (nel calcio, nello spettacolo, per le missioni coloniali come quella in Afghanistan) e che si pone il problema del peso sociale del lavoro, significa prima di tutto evitare di banalizzare quanto accaduto. Ovvero che se in una società i riti festivi, come il campionato di calcio, vengono rovesciati in rituali (mediali e e sul campo) di elaborazione del lutto tutto questo porta indizi preziosi di funzionamento della connessione sociale contemporanea. In questo senso fa bene ricordare la fonte principale di polemica tra due classici del pensiero della società: Gabriel Tarde e Emile Durkheim. Tarde, detto in estrema sintesi, rimproverava a Durkheim una impostazione di pensiero troppo legata a categorie politiche. E, guardando alla vicenda Morosini, se c’è un tema su cui Tarde non aveva torto è quello che suggerisce che, se la politica non possiede categorie di spiegazione, la teoria sociale ne ha di proprie indipendenti e autonome dal politico. Categorie che, aggiungiamo, vanno usate proprio per evitare di farsi travolgere dagli eventi sul piano politico. Perché i rituali mediali di elaborazione del lutto, e le loro ricadute sui territori, sono fatti concreti molto potenti. Subirli, senza capirli, come se fossero improvvise precipitazioni piovose può davvero danneggiare la vita sociale di un territorio.

MOROSINI, UN FATTO SOCIALE TOTALE

La drammatica scomparsa di Piermario Morosini si è imposta come un fatto sociale totale per due motivi.  Prima di tutto bisogna intendersi su cosa è un fatto sociale totale. In Marcel Mauss è un fatto sociale un fenomeno che coinvolge la pluralità complessiva dei livelli sociali. E la drammatica scomparsa di Morosini di fatti sociali totali ne mette in campo almeno due: i media, di ogni tipo, e il calcio. Il cortocircuito tra due fatti sociali totali, specie se legati ad una improvvisa scomparsa, ha infatti un effetto dirompente. In questo caso l’elaborazione del lutto tende ad imporsi, in modo impetuoso, sia negli interstizi della società che sul piano personale di ricezione del dolore. Non sono infatti poche le persone, anche a distanza di centinaia di chilometri da Livorno, che si sono sentite investite personalmente di quanto è accaduto a Morosini. E che hanno sentito la necessità di esprimere, in miriadi di forme, la propria partecipazione. Allo stesso tempo moltissimi tifosi, e gruppi di tifosi, hanno fatto sentire la loro solidarietà alla città, alla squadra e alla famiglia di Morosini in forme calorose ed inattese. Segno che il fatto sociale totale risveglia un tipo di solidarietà collettiva che nelle nostre società esiste in condizione di latenza.

UN EVENTO POTENTE

Piaccia o non piaccia, per i gruppi sociali non ha infatti alcuna importanza la natura del fenomeno in grado di risvegliare i meccanismi immediati di solidarietà collettiva. E’ importante piuttosto, per risvegliare la loro carica di comportamento attivo, che sia un fatto sociale totale, che coinvolge molteplici strati di aggregazione collettiva, a farli riemergere. Poi ci pensano i dispositivi mediali ad amplificare, istantaneamente, la potenza del messaggio costruito. Tanto che il Barcellona, la stessa sera della morte di Morosini, si è sentito in dovere di giocare con il lutto al braccio. Non molti anni fa sarebbe stato impensabile che la squadra campione del mondo per club giocasse, con il lutto al braccio, per onorare la morte di un giocatore di serie B di una squadra di un altro paese, a centinaia e centinaia di chilometri di distanza. E qui non c’entra l’aspetto sportivo ma l’inusitata, rinnovata potenza che oggi ha il fatto sociale totale. Allo stesso tempo sono proliferate le forme di identificazione personale con la vicenda Morosini. Non perché, come ha scritto erroneamente qualcuno, era un campione. Ma perché somigliava tremendamente a tanti ragazzi della sua età, con in più il portato di una tragica vicenda familiare ed infine personale.
Di qui si capisce, su un piano oggettivo non certo di valore, perché la vicenda Morosini pesa socialmente più delle morti sul lavoro. Primo perché i media difficilmente amplificano le morti sul lavoro come fatti sociali totali (salvo stragi spettacolari come la Thyssenkrupp e assimilabili) secondo perché i decessi sul lavoro, come elaborazione del lutto che sospende ogni normalità, tendono a riprodurre la propria carica simbolica e di significato entro interstizi sommersi di società. Siccome i media non sono un prodotto della natura, ma un processo di complessa negoziazione sociale, chi si propone come soggetto politico deve essere in grado di contrattare con i media l’importanza del messaggio collettivo sulle morti del lavoro e di proporre, con forza, le proprie piattaforme di costruzione di significato. Con l’attuale stato delle cose, comunque la si pensi, non c’è però da stupirsi che la morte di un calciatore pesi socialmente in questo modo. Come c’è da capire che tutti i significati socialmente costruiti, come appunto la morte di un giovane di nemmeno 26 anni, tendono poi ad essere collettivamente rielaborati per uscire dal contesto che li ha prodotti. Per poi traslocare, per un processo di produzione sociale della somiglianza di significato, magari in ambiti come quello del lavoro.

LIVORNO OGGI SENZA PROTEZIONE RISPETTO AI FATTI SOCIALI TOTALI. NO ALLA CITTA’ SET TELEVISIVO.

La morte di Morosini, come fatto sociale totale non certo come evento legato allo sport, ha investito in pieno Livorno. Qui si consenta l’uso di una metafora piuttosto cruda: il passaggio di un tifone ha un certo effetto in una città con dei robusti condomini, magari costruiti con criteri antisismici giapponesi, e ne ha un altro se passa su una distesa di case di legno. L’irrompere del fatto sociale totale se non trova protezione, intendendo con questa la capacità di elaborazione autonoma di significato rispetto agli eventi,  si impone con il suo significato grezzo, indipendente dalla vita stessa di un territorio. Anzi, tende a disporla secondo i significati e i linguaggi prodotti dall’evento sociale totale che è stato elaborato, si badi bene, al di fuori del territorio su cui si posa.
Livorno è oggi definibile un territorio solo se inteso come luogo dove si sovrappongono reti di sopravvivenza e di adattamento alla crisi. Il tessuto istituzionale è disarticolato, quello culturale è sommerso, si stenta a vedere legame sociale. Livorno è ormai persino priva di un centro urbanistico definibile come tale (effetto della retorica di centrosinistra sul policentrismo, nella quale si annida la legittimazione delle speculazioni urbanistiche). In poche parole, per l’elaborazione dei significati legati all’elaborazione del lutto, Livorno rischia di essere ostaggio dei media. Che hanno altre esigenze, produrre dolore in prima serata per il fatturato pubblicitario, che esistono per l’elaborazione intensiva delle tragedie (ruolo su cui si sono socialmente specializzati) e non tengono conto né della tutela dei processi dell’elaborazione spontanea del dolore né delle necessità, tramite l’elaborazione del lutto, di coesione sociale di un territorio.
In sintesi, quello che non deve accadere è che Livorno diventi la Cogne, la Avetrana o l’isola del Giglio del dolore calcistico, un serial ad uso e consumo dell’industria del dispiacere a distanza. L’informazione rispetto ad un evento, anche con i suoi eccessi di semplificazione, è un fatto mentre è un altro la costruzione di una Gardaland (con eventi continui, trasmissioni sensazionalistiche, iniziative, giochi a premi) del lutto calcistico. Dove l’elemento trainante non è l’elaborazione collettiva del significato, che aiuta a sedimentare legame sociale, ma la logica e il relativo business dello spettacolo.
La morte di Morosini non deve quindi pesare socialmente né come una piuma né come una montagna. Se pesasse come una piuma significherebbe che una città non è in grado di elaborare gli eventi della vita. Se pesasse come una montagna significherebbe che il significato della sua scomparsa sarebbe governato dai media e non dal territorio sul quale si è abbattuto. La stessa famiglia di Morosini l’ha capito, chiedendo di interrompere la trasmissione delle immagini che riguardano il momento della morte del calciatore amaranto. C’è un confine tra il diritto di cronaca e la riproposizione morbosa dell’evento. L’intervento della famiglia di Morosini significa che questo confine è già stato toccato. Una volta oltrepassato stabilmente questo confine c’è la Gardaland del dolore calcistico che non ha alcun riferimento con il dramma reale o con la vita di un territorio.
Allo stesso tempo, chi si propone come soggetto politico questi fenomeni deve comprenderli, anche se sembrano non parlare il linguaggio della politica, prevedendo capacità di intervento. Ciò che fa radicamento sociale ha comportamenti e linguaggi diversi da come se li immagina la razionalità politica. Ma non è un dramma, l’importante è capire questa diversità, farla propria senza lasciarsi travolgere. 

Articolo tratto da Senza Soste, nique la police
16 aprile 2012


 

2 commenti:

  1. mamma mia che brutto articolo!!! vetusta impostazione marxista, e tipica vanagloria livornese in fase espositiva!! a un certo punto gli volevo gridare "eh police, si 'apisce che in vita tua hai letto solo emile durkheim e karl marx"... c'è da far notare che anche il police si fionda sul "fatto sociale" così com'è, salvo poi ammonire il circo mediatico come fosse novità.. lui si fionda sulla morte di morosini, vuoi perchè gli fa scrivere un articolino, vuoi per altri motivi.. ma "c'ha mangiato" anche lui.. e poi, la ripetizione ossessiva degli stessi vocaboli ne svuota il significato, lo sa anche la mi nonna... sociale, politico, elaborazione.. non significano niente.. nell'analisi di police. punti di vista, sia chiaro. saluti
    six

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  2. Sulla questione dei fattori sociali e la troppa vanagloria sono perfettamente con te caro il mio SIX, non fare però come police che ti nascondi dietro un nomignolo... (si fa per ruzzare checco è)!
    Piuttosto sono felice che alimenti il dibattito. Per ogni suggerimento, sfondi una porta aperta, quindi un sfondi un ber nulla.
    A Presto
    Andrea

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