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Melbourne, Vermont, Australia
Salve a tutti. Come potete vedere, il titolo del mio blog prende spunto dalla parole di un personaggio storico molto controverso, ma che sicuramente ha lasciato un enorme segno: "Ye shall know the truth, and the truth shall make you free = conoscerete la verità, e questa vi renderà liberi". Ecco, ho reputato giusto titolare il mio blog in questo modo. La verità vi/ci renderà liberi. Ovviamente non predendo certo di essere io la Verità assoluta, questo blog ha soltanto l'intento di condividere con il maggior numero di persone, temi di attualità politica e sociale, toccando anche, se possibile argomenti "scottanti". Vorrei credere che all'interno di questo piccolo spazio virtuale, le persone si sentano libere di parlare, informarsi, ma sopratutto crescere culturalmente e non solo. Questo è il mio sogno/desiderio. Spero durante questo percorso di poter creare interessanti dibattiti contro ogni forma di censura. Non dobbiamo mai aver paura di manifestare il nostro dissenso e la nostra voglia costante di ricercare la verità nelle cose. "Possiamo essere liberi solo se tutti lo sono". Georg Hegel

4/27/2012

SORRIDI, SEI SU CCTV


Chi, camminando per strada nella propria città non ha mai visto, magari entrando in una banca o in una farmacia una telecamera di video sorveglianza che lo riprendeva?
Chi non ha mai, almeno una volta fatto un sorriso ad una videocamera dentro uno dei tanti autogrill italiani o in una metropolitana di una grande città?
Beh, diciamo che un po’ per spirito un po’ per goliardia, un sorriso non ha mai fatto male a nessuno, in fondo il numero di telecamere presenti nelle nostre città italiane non è (ancora) così invasivo da considerarci tutti attori o comparse di un grande Truman show.
In fondo il pensiero comune, fugace, nell’attimo in cui vediamo una telecamera è: “Guarda, una telecamera che mi sta riprendendo (ovviamente nessuno pensa le stesse esatte parole); cosa c’è di male, sono all’interno di una banca dove ci sono migliaia di euro, è giusto che sia tutto ripreso”.
Passiamo per vero e giusto un assunto del genere, anche se ci sarebbe anche qui qualcosa da ridire, visto che le telecamere possono “spaventare” noi comuni cittadini che paghiamo le tasse e rispettiamo il limite di velocità per le strade, ma che a quando pare non spaventano certo il ladro di turno improvvisato, o bande armate organizzate.
Dati alla mano, l’Italia è il paese in cui avviene il maggior numero di rapine a livello europeo.[1]
Il fine di questo post non è però quello di trattare l’argomento rapine vs telecamere in Italia.
Oggi avrei interesse ad approfondire un tema che ho davvero molto a cuore: il concetto di Privacy.
Secondo Wikipedia, tanto per citarne uno, per Privacy si intende: riservatezza o privatezza, è appunto il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata.[2]
Vita privata appunto.
Vi è mai capitato in questi anni di prenotare con i vostri amici, con la vostra ragazzo/a o con i vostri genitori un viaggio a Londra?
Capitale del fashion, del divertimento e della pazza gioia? (Questa fonte la devo verificare)...
Se la risposta è no, allora posso raccontarvi la mia esperienza, durante il mio soggiorno (circa un anno e mezzo), nella terra di sua immortale regina Elisabetta.
Ricordo ancora che la prima volta che misi piede nella tanto decantata Londra era maggio 2010, decisi di fare una toccata e fuga di tre giorni per una specie di ricognizione, prima di trasferirmi per un non precisato periodo.
Durante il mio primo viaggio ero troppo felice ed entusiasta della mia prossima avventura che non notai per niente ciò che di lì a pochi mesi avrei trovato mostruoso.
Giunsi a Londra in una calda giornata di fine luglio, bagagli alla mano e pieno di buone intenzioni.
Dopo un periodo di assestamento trovai casa nel quartiere chiamato Stepney Green, zona 2 ad est di Londra.
Il quartiere era esteticamente molto brutto, pieno di fastfood ricoperti da luci che davano più l’idea di essere nella Las Vegas dei poveri piuttosto che Londra. Di giardini all’inglese nemmeno a parlarne, però, come diceva chi ci viveva era cheap (economico).
Nei miei primi giorni in cui mi trasferii nella nuova casa, spesso mi capitava di girare per il quartiere, entrare nei negozi, curiosare, chiedere e alle volte comprare qualcosa.
Ricordo che rimasi allibito quando, entrando nei vari off licence, 99 cent, fish and chips, ero costantemente ripreso da un occhio freddo e metallico che riprendeva, passo per passo i miei movimenti, senza darmi scampo alcuno.
Da lì a poco, iniziai a fare caso sempre più spesso che le strade, le metropolitane, i negozi di qualsiasi genere, infine alcune case, erano tappezzate da cartelli che recitavano la seguente frase: “ for your safety and security cctv is in operation 24 hours”. Non credo si debba essere madrelingua per capire questo cartello.

Allora mi cominciai a domandare: “Beh, per la mia sicurezza qualcuno conosce esattamente ogni mio spostamento! Bah, sarà anche che io sono livornese (pensai) ma a me questa cosa un mi và punto bene (un po’ di dialetto non fa mai male)”.
Iniziai quindi a informarmi su questo, a mio avviso, problema telecamere e scoprii che, dati alla mano, a Londra ci sono esattamente 4,2 MILIONI di telecamere disposte in tutta la città.
QUATTROMILIONI di telecamere, 4 milioni per una città che ospita circa 7.556.905 persone.
Quasi, ripeto quasi un rapporto di uno ad uno.
Sapete quante telecamere ci sono a Roma? 1300 videocamere per sorvegliare una città grande come la capitale.
Ammettiamo anche che Londra sia grande 2,5 volte Roma, stando al numero di telecamere presenti nella capitale italiana, Londra ne dovrebbe ospitare al massimo e ripeto al massimo 3000, 3500. No 4,2 milioni.
Da qui il passaggio successivo è: si, ma Roma è una città notoriamente pericolosa.
Sempre dati alla mano, il dipartimento di polizia a Londra, sul proprio sito ha pubblicato una mappa dei crimini commessi sul territorio cittadino: http://www.murdermap.co.uk/murder-map.asp.
Qui è possibile vedere velocemente le statistiche di criminalità presenti nella città di Londra.
Questi dati sono utili per riflettere su una semplice considerazione che era anche la premessa di questo post.
Che cosa è la privacy ai giorni nostri? Servono davvero tutte queste migliaia di occhi elettronici che controllano giornalmente ogni nostro movimento, quando poi in ogni angolo di ogni strada è possibile essere rapinati, accoltellati, stuprati, in fine uccisi?
Ovviamente durante la mia permanenza a Londra, eccezion fatta per qualche scazzottata dovuta all’eccesso di alcool, non ho mai assistito a niente che poi abbia letto sui giornali.
Motivo per cui, pur considerando Londra una città con problematiche estese, criminalità fortemente presente, non la reputo così pericolosa da avere 4,2 milioni di telecamere.
L’esempio dei riots (rivolte) dello scorso agosto 2011 parla chiaro: per ben quattro giorni la città di Londra è stata letteralmente sotto il giogo di bande di quartiere, teppisti, delinquenti e chi più ne ha più ne metta.
Allora penso: “Io non sono certo un criminale, una persona pericolosa per la comunità, allora perché qualcuno dietro una scrivania che immagino essere fatta di legno e ossa umane, deve costantemente riprendere e sapere dove vado? Allora sono pericoloso?"
Queste ovviamente sono provocazioni. Non penso certo che le telecamere siano del tutto futili e al servizio di un ordine ben più grande.
Però mi chiedo, se 4,2 milioni di telecamere non sono servite a fermare per 4 giorni bande impazzite di ragazzi e ragazzini che hanno letteralmente messo a ferro e fuoco una capitale mondiale, a cosa servono? Dove la mia safety?
E soprattutto, che fine fa la nostra privacy?

Andrea Viaggi


[1] http://www.repubblica.it/cronaca/2010/06/30/news/la_met_delle_rapine_ue_avviene_in_italia_nel_2009_i_colpi_sono_stati_oltre_1700-5276627/

[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Privacy

4/25/2012

25 APRILE 2012: RESISTERE. ORA PIU’ CHE MAI





Ci sono giorni del calendario che vale la pena ricordare, cene sono altri che proprio non possiamo dimenticare.
Il 25 aprile è proprio uno di questi giorni. Per me 25 aprile è la data in cui forse per la prima volta lo Stato Italiano con i suoi cittadini ha mostrato la sua faccia migliore.
Sono passati ben 67 anni da quando, dopo anni di Resistenza armata, formata da uomini, donne, bambini, preti e militari che si ribellavano all’oppressione nazifascista, l’Italia è stata finalmente liberata. Dovrà passare circa un altro anno (18 giugno 1946) affinché l’Italia sia dichiarata ufficialmente, Repubblica.
Sono stati scritti decine e decine di libri sulla resistenza armata dei Partigiani che per lungo tempo hanno combattuto fianco a fianco contro il nemico nazifascista.
Tra questi vorrei rapidamente ricordarne alcuni che sono stati molto importanti per me: Il Partigiano di Beppe Fenoglio; Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino e Il clandestino di Mario Tobino.
Credo che ora più che mai in Italia, pur vivendo la situazione in un altro paese, abbia bisogno di una giornata come il 25 aprile, e credo anche che, pur se con estrema attenzione e delicatezza nel non confondere o mischiare le due date, è possibile trovare dei punti in comune tra gli anni della Resistenza e i giorni che stiamo vivendo.
Ricordo (con piacere) che durante gli anni di scuola superiore ho avuto la fortuna di avere (nonostante fossi un ragazzo un po’ impegnativo da gestire) dei professori di storia e italiano che tenevano molto a ricordare più che il giorno, le gesta eroiche di questi uomini e donne, durante la seconda guerra mondiale.
Ringrazio altresì i miei vari docenti per avermi insegnato che questo è il giorno degli italiani e non come raccontano alcuni degli americani o chi per loro.
E’ il giorno in cui vanno ricordati i sette fratelli Cervi: Gelindo,, Antenore, Aldo, Ferdinando,  Agostino, Ovidio, Ettore; oppure Giovanni Lazzetti, detto il Ballonaio; Adriano Venezian (Biondo), Giorgio Pizzoli (Jim), Gino Simionato (Bozambo), De Ros (Tigre), Diego Baratella (Jack), Gino Simionato, detto "Falco... ecc ecc
Questi uomini mi hanno anche insegnato che un po’ di sano patriottismo non ha mai fatto male, ma soprattutto che è giusto e doveroso ricordare alle generazioni presenti e future che l’Italia fu liberata dalla volontà di un popolo che si ribellava al proprio oppressore.

25 aprile non è semplicemente un giorno o una data.
25 aprile è il simbolo di anni di sforzi, sacrifici e infine (purtroppo) morte di persone che credevano in un unico e semplice ideale: Libertà e Giustizia.
Erano persone come noi, contadini, lavoratori, operai che dopo anni di oppressione si ribellarono.
In questa giornata ci dobbiamo ricordare che pur se con grandi sacrifici, il vero e unico detentore del poter statale è solo ed esclusivamente IL POPOLO.
Questa storia è stata fatta non da eroi, ma da persone semplici, che hanno combattuto a costo della vita per dare a loro stessi ma soprattutto ai propri figli un domani migliore.
Purtroppo, ai giorni nostri si vedono sempre meno persone semplici trasformarsi in eroi. Sembra molto più facile disinteressarsi della Cosa Pubblica e tirare avanti il proprio (sempre più piccolo) mulino, con la speranza che alla fine giunga sulla terra un supereroe della Marvel a risolvere la situazione.
Non arriverà mai nessun supereroe.
Deve essere il senso di repulsione verso questa classe politica che ovviamente non ci rappresenta a risvegliare dal letargo un popolo che troppo a lungo ha dormito.
Il popolo italiano deve capire che esistono diverse forme di dittatura, quella fascista era di più facile individuazione, era un movimento che negli anni oltre ad aver portato l’Italia allo sfascio, l’ha portata anche alla morte di migliaia di persone innocenti.
Quello che viviamo oggi è una forma di dittatura più sottile ma evidente allo stesso modo.
Non esiste avere un’intera classe politica indagata per corruzione, nemmeno le nuove dittature sud americane o cinesi hanno un tasso così alto di corruzione e mal affare.
Dopo anni di Berlusconismo, ci siamo ritrovati al governo delle persone che nessuno di noi ha votato. La classe politica che ci sta mandando alla rovina è la stessa che per qualche paradossale motivo continua a legiferare sotto gli occhi di tutti.  
Per questo ed anche per il sangue che hanno versato i nostri nonni e nonne nel tentativo di lasciarci un’Italia migliore, dobbiamo alzare la testa e combattere questa classe politica che non appartiene sicuramente all’Italia che meritiamo.


P.s. Ovviamente in questa giornata non potevo non postare una canzone come Bella Ciao, che invece di dividere dovrebbe unire tutti gli italiani sotto un unica bandiera, quella delle libertà.
    
                                    

Andrea Viaggi

4/22/2012

Addio Tav, la Germania rinuncia: «Costa troppo, inutile viaggiare a 300 all’ora»

Nel “Paese di pulcinella” in cui viviamo si persevera a sostenere l’alta velocità, nostante i costi e i danni ambientali. In Toscana, dove l’altro ieri un treno pendolare ha perso una porta incrociando un frecciarossa, ci si ostina a voler scavare sotto Firenze un tunnel inutile e dannoso. Certo, la classe dirigente è quella che è: Renzi, Rossi, Moretti, questo abbiamo e questo per ora ci dobbiamo tenere. Fatto sta che la Germania, il Paese più economicamente solido d’Europa rinuncia al piano Tav perché costa troppo ed è dannoso per le coincidenze con il traffico locale. Ecco un estratto della notizia rilanciata dal Sole 24 Ore.

***



Berlino frena i treni ad alta velocità. In un’intervista al periodico «Wirtschaftswoche» il presidente delle ferrovie tedesche, Rudiger Grube, ha annunciato che la prossima generazione degli Ice – equivalenti ai TGV francesi e agli Etr 500 italiani – non viaggerà più a 300 chilometri all’ora, ma “solo” a 250. «Per la Germania la velocità di 250 chilometri all’ora è più che sufficiente – ha spiegato Grube -, tanto più che le tratte dove gli Ice possono raggiungere i 300 all’ora sono solo due: Colonia-Francoforte e Norimberga-Ingolstadt».

Costruirne di nuove costerebbe troppo. Il rallentamento da 300 a 250 della velocità massima comporta una serie di vantaggi: minor costo di produzione e di manutenzione dei treni, e minor costo di manutenzione delle linee. Grube ha inoltre ricordato che la minore velocità riduce i ritardi dovuti alle perturbazioni del traffico, e rende più facile il rispetto delle coincidenze.

Meno velocità in cambio di maggiore affidabilità, insomma. La strategia annunciata da Grube rappresenta un dietrofront rispetto a quella del suo predecessore, Hartmut Medhorn; secondo Grube, inoltre, è stata oggetto di accese discussioni all’interno della società, soprattutto con i vertici della divisione che gestisce il traffico a lunga percorrenza.

http://altracitta.org/2012/04/20/addio-tav-la-germania-rinuncia-costa-troppo-inutile-viaggiare-a-300-allora/

Tratto da: INFORMAZIONE LIBERA

4/20/2012

FILM PER IL WEEKEND - I CENTO PASSI




« Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente! »

TRAMA:
Cento sono i passi che occorre fare a Cinisi, per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Tano Badalamenti.
Il giovane Peppino Impastato vive cercando di sfuggire a quest'inesorabile legame con l'ambiente mafioso che il padre, Luigi Impastato, un po' per inerzia, un po' perché ha una moglie da proteggere e due figli da crescere, non ha la forza di rompere. Anche di fronte alla vulnerabilità sua e della propria famiglia, Peppino, animato da uno spirito civico irrefrenabile, non esita, con l'involontaria complicità del fratello Giovanni, ad attaccare "don Tano" e a denunciarne pubblicamente le malefatte. Il percorso "controcorrente" di Peppino nasce quando, bambino, vede scorrere davanti a sé gli albori della lotta politica contro la mafia e il potere a essa colluso, lotta a cui poi prenderà attiva parte una volta adolescente e poi da adulto. La morte violenta dello zio capomafia, l'incontro con il pittore comunista Stefano Venuti, il rifiuto del padre biologico e della famiglia intesa in senso mafioso e il formarsi con il pittore idealista, suo vero "padre etico", sono i punti di svolta della vita di Peppino bambino, che lo segneranno per il resto della sua esistenza. La frase "noi comunisti perdiamo perché ci piace perdere" sembra quasi un preludio alla sua tragica morte, che giunge quando ormai è diventato troppo scomodo ai mafiosi e il padre, morto in un oscuro incidente, non lo può più proteggere da don Tano. Viene ucciso soprattutto per l'operato dell'irriverente Radio Aut, dai microfoni della quale si è scagliato senza freni a denunciare la mafia e i suoi misfatti.[1][1]

La prima volta che vidi questo film rimasi davvero esterrefatto dalla potenza di quest’uomo: Peppino Impastato. Ovviamente avevo già visto altri film sulla mafia, anche più cruenti, ma questo mi ha sicuramente lasciato un segno indelebile sulla forza delle proprie idee.
E’ difficile credere che un figlio di mafioso, cresciuto in un piccolo paesino della Sicilia decida di rinnegare tutto e combattere il sistema mafia in prima persona e attraverso una radio.
Questo non è soltanto un film, è il racconto della vita di un Eroe moderno.
Un film da vedere e rivedere.
Informare per resistere, essere compatti e schierarsi con forza contro il nemico, volere a tutti i costi la verità. Questo era Peppino, un uomo libero che è morto da uomo libero.
Sicuramente la mafia sarebbe meno potente e ramificata se al mondo ci fossero più Giuseppe Impastato.

Andrea Viaggi
TRAILER:
 


[1] http://it.wikipedia.org/wiki/I_cento_passi



4/19/2012

RICORDARE VIK. UN DOVERE DI TUTTI NOI.




A pochissimi giorni dalla morte per arresto cardiaco del calciatore del Livorno Calcio, Piermario Morosini, di cui se volete potete leggere i post pubblicati sul blog nei giorni scorsi, si celebra, o almeno si dovrebbe fare, la ricorrenza del primo anno dalla morte di Vittorio Arrigoni, avvenuta il 15 aprile 2011 per opera di un gruppo terrorista appartenente al gruppo islamico jihadista salafita.
Ora per chi non lo sapesse, il Jihadismo salafista è considerato da molti come una forma di “fascismo islamico” esasperato.
Un movimento che da sempre considera ogni occidentale compromesso, anche quelli che, come Vik appunto si è battuto a costo della vita per la causa palestinese.
Il motivo è semplice: la costituzione di un emirato islamico a Gaza presuppone una terra etnicamente pura. Il salafismo è nemico di ogni modernizzazione dell'islam. In tempi di giovani arabi che si ribellano, Arrigoni predicava la mobilitazione dei giovani di Gaza per un cambiamento. Aveva sottoscritto anche un manifesto con i suoi coetanei della Striscia in tal senso. Ma nonostante le dichiarazioni del "ministro degli esteri" di Hamas (faremo di tutto per liberarlo), la mobilitazione politica dei giovani spaventa il partito islamico perché non mette per forza al primo posto Allah, come si è visto in Egitto o in Tunisia.[1]
I motivi, le domande e molto altro ancora sulla morte di Vik sono ancora molti e con molti lati oscuri.
E’ altrettanto vero poter dire che Vittorio era è un ragazzo scomodo, un occidentale che si batteva a Gaza per i diritti dei Palestinesi, ai quali, nonostante siano passate decadi, ancora la comunità internazionale non riconosce come uno Stato di fatto.
Oggi però non è il caso di sollevare l’ennesima diatriba sugli errori ma soprattutto sugli orrori commessi in quasi 60 anni dallo Stato israeliano, nei confronti di centinaia di bambini e madri innocenti palestinesi.
Oggi è il giorno di ricordare Vittorio. Un idealista, un sognatore.
Vittorio Arrigoni era un’attivista per i diritti umani dell’International Solidarity Movement.
Una persona che al contrario di molti trentenni che si lamentano di non avere l’auto nuova ogni anno o la possibilità di andare in vacanza al mare, aveva scelto una vita diversa, di sacrifici.
Una vita in cui raccontava in prima persona, ma anche attraverso il suo blog: “guerrillia radio” tutte le atrocità che venivano commesse dall’esercito israeliano nei Territori Occupati (sulla Striscia di Gaza).
Ricordo che sfortunatamente venni a conoscenza del suo blog soltanto pochi giorni prima della sua morte. Mi dispiacque davvero perché lui rappresentava tutti quegli ideali in cui anch’io credo, ma che, a differenza mia Vik aveva scelto di vivere sul campo.
Era un ragazzo che non aveva paura della verità, una persona che forse già conosceva il suo terribile destino, ma che nonostante tutto ha combattuto fino all’ultimo  in ciò in cui credeva.
Ricordo di essere rimasto ammaliato dalla forza di spirito della sua persona, delle sue parole, del suo agire. Purtroppo non ho avuto e mai avrò la possibilità di stringergli la mano. Voglio pensare però che queste mie poche parole possano arrivargli, ovunque lui sia.
Spesso le persone prendono come miti personaggi che miti non sono.
Per questo, a differenza di molti altri che (giustamente) citano sempre il suo libro: Gaza. Restiamo Umani, vorrei chiudere, mostrando un video in cui Vik critica aspramente un personaggio molto più "famoso" di lui (Roberto Saviano), circa il suo pensiero pro-israeliano.
I veri miti sono altri. Apriamo gli occhi!



Grazie Vik per l'esempio che hai dato a tutti noi. Non ti dimenticherò.
Andrea Viaggi

[1] http://www.loccidentale.it/node/104588

4/17/2012

Morosini va ricordato degnamente. Per questo Livorno non diventi la Gardaland del dolore calcistico

Ancora scosso dagli eventi assurdi che hanno portato alla morte del calciatore del Livorno calcio, Piermario Morosini, questa settimana mi limito a riportare un articolo, a mio avviso, interessante e che molto mi ha fatto riflettere apparso sul sito internet: senzasoste.it, scritto da  nique la police.


La celeberrima frase del compagno Mao, sulle morti che pesano come piume e quelle che pesano come montagne, andrebbe sempre fatta uscire dal terreno delle citazioni facili per riscoprirla nella sua infinita saggezza. Insomma Mao, a maggior ragione se preso come un sms o un tweet, ci parla sempre della misura con la quale pesare i fatti sociali.
Il problema dell’unità di misura del peso sociale della morte è infatti tornato in ballo con l’improvvisa scomparsa, in diretta tv, di Piermario Morosini. Come per il famoso pilota del motomondiale, sulla vicenda Morosini sono piovuti interrogativi differenti che spesso però si somigliavano su una domanda: perché un peso sociale così forte per la morte di un calciatore rispetto a quello dato agli infortuni sul lavoro?
Rispondere a questa domanda, che è ricorrente per qualsiasi tipo di decesso improvviso (nel calcio, nello spettacolo, per le missioni coloniali come quella in Afghanistan) e che si pone il problema del peso sociale del lavoro, significa prima di tutto evitare di banalizzare quanto accaduto. Ovvero che se in una società i riti festivi, come il campionato di calcio, vengono rovesciati in rituali (mediali e e sul campo) di elaborazione del lutto tutto questo porta indizi preziosi di funzionamento della connessione sociale contemporanea. In questo senso fa bene ricordare la fonte principale di polemica tra due classici del pensiero della società: Gabriel Tarde e Emile Durkheim. Tarde, detto in estrema sintesi, rimproverava a Durkheim una impostazione di pensiero troppo legata a categorie politiche. E, guardando alla vicenda Morosini, se c’è un tema su cui Tarde non aveva torto è quello che suggerisce che, se la politica non possiede categorie di spiegazione, la teoria sociale ne ha di proprie indipendenti e autonome dal politico. Categorie che, aggiungiamo, vanno usate proprio per evitare di farsi travolgere dagli eventi sul piano politico. Perché i rituali mediali di elaborazione del lutto, e le loro ricadute sui territori, sono fatti concreti molto potenti. Subirli, senza capirli, come se fossero improvvise precipitazioni piovose può davvero danneggiare la vita sociale di un territorio.

MOROSINI, UN FATTO SOCIALE TOTALE

La drammatica scomparsa di Piermario Morosini si è imposta come un fatto sociale totale per due motivi.  Prima di tutto bisogna intendersi su cosa è un fatto sociale totale. In Marcel Mauss è un fatto sociale un fenomeno che coinvolge la pluralità complessiva dei livelli sociali. E la drammatica scomparsa di Morosini di fatti sociali totali ne mette in campo almeno due: i media, di ogni tipo, e il calcio. Il cortocircuito tra due fatti sociali totali, specie se legati ad una improvvisa scomparsa, ha infatti un effetto dirompente. In questo caso l’elaborazione del lutto tende ad imporsi, in modo impetuoso, sia negli interstizi della società che sul piano personale di ricezione del dolore. Non sono infatti poche le persone, anche a distanza di centinaia di chilometri da Livorno, che si sono sentite investite personalmente di quanto è accaduto a Morosini. E che hanno sentito la necessità di esprimere, in miriadi di forme, la propria partecipazione. Allo stesso tempo moltissimi tifosi, e gruppi di tifosi, hanno fatto sentire la loro solidarietà alla città, alla squadra e alla famiglia di Morosini in forme calorose ed inattese. Segno che il fatto sociale totale risveglia un tipo di solidarietà collettiva che nelle nostre società esiste in condizione di latenza.

UN EVENTO POTENTE

Piaccia o non piaccia, per i gruppi sociali non ha infatti alcuna importanza la natura del fenomeno in grado di risvegliare i meccanismi immediati di solidarietà collettiva. E’ importante piuttosto, per risvegliare la loro carica di comportamento attivo, che sia un fatto sociale totale, che coinvolge molteplici strati di aggregazione collettiva, a farli riemergere. Poi ci pensano i dispositivi mediali ad amplificare, istantaneamente, la potenza del messaggio costruito. Tanto che il Barcellona, la stessa sera della morte di Morosini, si è sentito in dovere di giocare con il lutto al braccio. Non molti anni fa sarebbe stato impensabile che la squadra campione del mondo per club giocasse, con il lutto al braccio, per onorare la morte di un giocatore di serie B di una squadra di un altro paese, a centinaia e centinaia di chilometri di distanza. E qui non c’entra l’aspetto sportivo ma l’inusitata, rinnovata potenza che oggi ha il fatto sociale totale. Allo stesso tempo sono proliferate le forme di identificazione personale con la vicenda Morosini. Non perché, come ha scritto erroneamente qualcuno, era un campione. Ma perché somigliava tremendamente a tanti ragazzi della sua età, con in più il portato di una tragica vicenda familiare ed infine personale.
Di qui si capisce, su un piano oggettivo non certo di valore, perché la vicenda Morosini pesa socialmente più delle morti sul lavoro. Primo perché i media difficilmente amplificano le morti sul lavoro come fatti sociali totali (salvo stragi spettacolari come la Thyssenkrupp e assimilabili) secondo perché i decessi sul lavoro, come elaborazione del lutto che sospende ogni normalità, tendono a riprodurre la propria carica simbolica e di significato entro interstizi sommersi di società. Siccome i media non sono un prodotto della natura, ma un processo di complessa negoziazione sociale, chi si propone come soggetto politico deve essere in grado di contrattare con i media l’importanza del messaggio collettivo sulle morti del lavoro e di proporre, con forza, le proprie piattaforme di costruzione di significato. Con l’attuale stato delle cose, comunque la si pensi, non c’è però da stupirsi che la morte di un calciatore pesi socialmente in questo modo. Come c’è da capire che tutti i significati socialmente costruiti, come appunto la morte di un giovane di nemmeno 26 anni, tendono poi ad essere collettivamente rielaborati per uscire dal contesto che li ha prodotti. Per poi traslocare, per un processo di produzione sociale della somiglianza di significato, magari in ambiti come quello del lavoro.

LIVORNO OGGI SENZA PROTEZIONE RISPETTO AI FATTI SOCIALI TOTALI. NO ALLA CITTA’ SET TELEVISIVO.

La morte di Morosini, come fatto sociale totale non certo come evento legato allo sport, ha investito in pieno Livorno. Qui si consenta l’uso di una metafora piuttosto cruda: il passaggio di un tifone ha un certo effetto in una città con dei robusti condomini, magari costruiti con criteri antisismici giapponesi, e ne ha un altro se passa su una distesa di case di legno. L’irrompere del fatto sociale totale se non trova protezione, intendendo con questa la capacità di elaborazione autonoma di significato rispetto agli eventi,  si impone con il suo significato grezzo, indipendente dalla vita stessa di un territorio. Anzi, tende a disporla secondo i significati e i linguaggi prodotti dall’evento sociale totale che è stato elaborato, si badi bene, al di fuori del territorio su cui si posa.
Livorno è oggi definibile un territorio solo se inteso come luogo dove si sovrappongono reti di sopravvivenza e di adattamento alla crisi. Il tessuto istituzionale è disarticolato, quello culturale è sommerso, si stenta a vedere legame sociale. Livorno è ormai persino priva di un centro urbanistico definibile come tale (effetto della retorica di centrosinistra sul policentrismo, nella quale si annida la legittimazione delle speculazioni urbanistiche). In poche parole, per l’elaborazione dei significati legati all’elaborazione del lutto, Livorno rischia di essere ostaggio dei media. Che hanno altre esigenze, produrre dolore in prima serata per il fatturato pubblicitario, che esistono per l’elaborazione intensiva delle tragedie (ruolo su cui si sono socialmente specializzati) e non tengono conto né della tutela dei processi dell’elaborazione spontanea del dolore né delle necessità, tramite l’elaborazione del lutto, di coesione sociale di un territorio.
In sintesi, quello che non deve accadere è che Livorno diventi la Cogne, la Avetrana o l’isola del Giglio del dolore calcistico, un serial ad uso e consumo dell’industria del dispiacere a distanza. L’informazione rispetto ad un evento, anche con i suoi eccessi di semplificazione, è un fatto mentre è un altro la costruzione di una Gardaland (con eventi continui, trasmissioni sensazionalistiche, iniziative, giochi a premi) del lutto calcistico. Dove l’elemento trainante non è l’elaborazione collettiva del significato, che aiuta a sedimentare legame sociale, ma la logica e il relativo business dello spettacolo.
La morte di Morosini non deve quindi pesare socialmente né come una piuma né come una montagna. Se pesasse come una piuma significherebbe che una città non è in grado di elaborare gli eventi della vita. Se pesasse come una montagna significherebbe che il significato della sua scomparsa sarebbe governato dai media e non dal territorio sul quale si è abbattuto. La stessa famiglia di Morosini l’ha capito, chiedendo di interrompere la trasmissione delle immagini che riguardano il momento della morte del calciatore amaranto. C’è un confine tra il diritto di cronaca e la riproposizione morbosa dell’evento. L’intervento della famiglia di Morosini significa che questo confine è già stato toccato. Una volta oltrepassato stabilmente questo confine c’è la Gardaland del dolore calcistico che non ha alcun riferimento con il dramma reale o con la vita di un territorio.
Allo stesso tempo, chi si propone come soggetto politico questi fenomeni deve comprenderli, anche se sembrano non parlare il linguaggio della politica, prevedendo capacità di intervento. Ciò che fa radicamento sociale ha comportamenti e linguaggi diversi da come se li immagina la razionalità politica. Ma non è un dramma, l’importante è capire questa diversità, farla propria senza lasciarsi travolgere. 

Articolo tratto da Senza Soste, nique la police
16 aprile 2012


 

4/15/2012

Ciao Piermario...


Mentre scrivo questo post, a Melbourne (città dove vivo) sono circa le 9.27 di domenica mattina, quando, navigando per il web, ho subito notato che c'era qualcosa di strano, diverso.
E' bastato fare un paio di click per scoprire che ieri, sabato 14 aprile, durante la partita di calcio Pescara - Livorno valevole per la serie B, il centrocampista del Livorno Piermario Morisini, durante un’azione di gioco, si è accasciato a terra colpito da triplice infarto dal quale non si è più ripreso.
So che questo è totalmente al di fuori dagli argomenti trattati su questo blog, ma per un giorno vorrei ricordare un ragazzo di appena 25 anni che durante una partita di calcio è stato colto da un malore che lo ha ucciso.
Scrivere di un ragazzo scomparso non è mai facile, le parole sono sempre troppe poche e spesso confuse, quindi mi limiterò soltanto a dire che sono dispiaciuto e vicino alla famiglia (in questo caso vicino alla sorella, visto che Piermario ha perso negli anni sia la madre che il padre che un fratello).
Livorno è la città in cui sono nato, e il Livorno calcio (aimè, visti i risultati) è da sempre la squadra del mio cuore, ma questo va al di là del mero aspetto sportivo e calcistico.
Si potrebbe subito chiederci se è stato fatto il possibile per salvarlo, si potrebbe chiedere se in questi anni di attività agonistica gli erano già stati riscontrati problemi cardiaci, si potrebbe...
Credo che questa non sia l’ora delle polemiche e di scagliarsi contro eventuali colpevoli (sempre che cene siano), credo che questa sia l’ora di stringersi in un abbraccio immaginario verso una sorella che durante una normale partita di calcio, ha perso il proprio fratello.
Piermario, arrivato a Livorno durante il mercato di gennaio ha dimostrato da subito attaccamento alla maglia amaranto, cosa assai poco comune in un calcio sempre più veicolato da interessi televisivi e non solo.
Da giovanissimo era considerato una promessa del calcio nostrano, tanto da arrivare in giovane età alla maglia azzurra, poi infortuni e un pizzico di sfortuna ne avevano rallentato la carriera.
A Livorno stava vivendo un suo personale riscatto, che l’ha da subito fatto entrare nelle grazie della tifoseria amaranto. In campo, come si dice in gergo calcistico, “sputava sangue”, non tirava mai indietro la gamba, giocando anche un calcio gradevole. Era un ragazzo sorridente.
Educato e mai banale quando rilasciava interviste alla stampa locale.
Mi fermo qui.
Mi dispiace solo non poter essere presente alla prossima partita Livorno – Cittadella per poterti dare il giusto tributo e un ultimo saluto.

.... Ciao Piermario, faccia pulita di un calcio che non esiste più.

4/14/2012

FILM PER IL WEEKEND - MOVIE FOR THE WEEKEND L’Inganno di Obama – The Obama Deception: The Mask Comes Off



Trama:
Il film sostiene che dal 1960 i Presidenti americani siano serviti come "prestanome" per grandi gruppi come il Council on Foreign Relations, la Commissione Trilaterale, Bilderberg Group,  le banche di Wall Street, la Federal Reserve, il complesso militare-industriale e altre organizzazioni, sostenendo che il “potere dietro al trono” era detenuto da multinazionali e potenti famiglie d'élite, come la famiglia Rothschild e la famiglia Rockefeller. Il documentario sostiene che il motivo principale di questi gruppi è di istituire un Nuovo Ordine Mondiale in cui le banche inizio una sorta di saccheggio delle ricchezze del popolo americano.
Il documentario si concentra principalmente sul presidente americano Barack Obama e le sue azioni durante la sua giovane presidenza.
Il film sostiene che Obama è stato accuratamente insediato dalle potenti famiglie d'élite, e che sta deliberatamente lavorando contro gli interessi del popolo americano.
Nel documentario si fa riferimento al fatto che le famiglie d'elite e le multinazionali utilizzino Obama nel tentativo di far accettare al popolo americano la loro agenda globale, che secondo Jones, dovrebbe includere elementi quali: servizio militare forzato,  intercettazioni senza mandato, campi FEMA, legge marziale e un banca globale.

In fondo alla pagina trovate il link del trailer (basta che clicchiate che vi rimanda direttamente alla pagine youtube).

Subject Matter:
The film argues that American presidents since the 1960s have served as "front men" for entities such as the Council on Foreign Relations, Trilateral Commission, Bilderberg Group, Wall Street banks, the Federal Reserve, the Military-industrial complex and others, arguing that multinational corporations and powerful elite families, such as the Rothschild family and Rockefeller family hold the real "power behind the throne." The documentary claims the main motive of these groups is to set up a New World Order where offshore banks subversively engage in the looting of the wealth of the American people.
The documentary primarily focuses on American president Barack Obama and his actions during his young presidency.
The film claims that Obama has been carefully installed by powerful elite families, and that he is deliberately working against the best interests of the American people. It discusses and references main stream news pieces to suggest that elite families and multinational institutions utilize Obama in an effort to con the American people into accepting their globalist agenda, which according to Jones, would include items such as forced national service, warrantless wiretapping, FEMA camps, martial law, and a Bank of the World.
                                                                                                                                                                Fonte Inglese: Wikipedia

Come ogni documentario, è importante guardarlo con occhio obiettivo e critico. Come sempre la verità non è una sola, ma sicuramente certi argomenti trattati dal film-documentario fanno riflettere. Questo è lo scopo, riflettere su ciò che vediamo, eventualmente cercare altre fonti per capire un po’ meglio la realtà che ci circonda.


Buona visione e buon fine settimana a tutti.

Andrea Viaggi 

4/13/2012

Piattaforma interattiva Libera


Lo scopo primario del mio blog, oltre a quello di trattare per quanto nelle mie facoltà temi di possibile interesse comune, è soprattutto cercare di creare una piattaforma social, dove ognuno può esprimere le proprie idee e posizioni riguardo ai temi trattati, e perché no, proporne anche di diversi e forse più interessanti rispetto a ciò che posso scrivere io.
Premesso ciò, avrei davvero piacere che questo mio spazio, diventi con il passare del tempo un luogo aperto e libero a ogni genere di discussione, ovviamente cercando di restare in linea con gli argomenti del blog: non scrivere di quanto è finita la partita Milan Inter ad esempio.
Avrei piacere anche di leggere commenti di disappunto alle mie idee, ovviamente argomentati, che diano con tempo la possibilità di diventare a questo blog uno spazio di libero scambio d’idee sul mondo che ci circonda.  
Grazie a tutte le persone che decideranno con il tempo, di intraprende questo percorso (spero anche di crescita culturale e personale), con il sottoscritto.
 
Andrea Viaggi

4/12/2012

C’ERA UNA VOLTA LA COMUNICAZIONE POLITICA E I POLITICI


Credo che in un blog sulla comunicazione, specialmente quando un argomento si rivolge alle masse, il tema della comunicazione politica sia di forte valenza e interesse comune, soprattutto ai giorni nostri.
Credo anche, che i tempi (almeno per il sottoscritto) siano maturi per riprendere, ma soprattutto portare a un nuovo e diverso livello, il main focus del mio blog.
Il Fatto curioso è che questa necessità nasce da una repulsione sempre più forte e convinta nei confronti delle persone che, a detta della Costituzione Italiana, dovrebbero essere i portatori della nostra parola, dei nostri valori e dei nostri voleri.
Non c’è nessuna volontà polemica nei confronti del singolo uomo o del partito di turno.
Lo scopo principale sarà quello di fare un’analisi, per quanto mi sarà possibile, critica e obiettiva non tanto della politica che legifera, ma di come questa si pone, a livello mediatico e comunicativo, nei confronti dei cittadini che dovrebbe rappresentare.  
Ovviamente la mia analisi avrà sicuramente dei lati bui, delle mancanze e degli errori di fondo, ma posso altresì dire che avranno la faccia pulita di un bambino di pochi mesi al quale è possibile perdonare qualsiasi cosa.
I miei errori di analisi critica, saranno in qualche modo dovuti dal fatto che da circa due anni, al pari di molti miei coetanei, ho lasciato l’Italia, se vogliamo anche con un certo rammarico, per capire se il mondo lo possiamo riassumere con le parole degli anziani: “Tutto il mondo è paese”, o se, come invece credo, la situazione italiana è a modo suo affascinante per quanto perversa, sui generis e senza un paragone possibile ad un altro Stato straniero.
Credo che il punto migliore da dove partire sia sicuramente la nuova fase di corruzione che si sta palesando sotto gli occhi dei sempre meno increduli cittadini italiani.
Per fare questo credo anche che sia importante tornare un attimo con la memoria al passato, ripercorrendo velocemente quella fase storico-politica in cui per la prima volta nel nostro Paese, venne a galla un sistema di corruzione e tangenti senza precedenti nella storia italiana. Era l’epoca di Mani pulite, quando uno dei più grandi giornalisti della nostra storia, Enzo Biagi, scriveva: “Tutto era cominciato un mattino d'inverno, il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d'arresto, una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente, l'ingegner Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano, con l'ambizione di diventare sindaco di Milano. Lo pescano mentre ha appena intascato una bustarella di sette milioni, la metà del pattuito, dal proprietario di una piccola azienda di pulizie che, come altri fornitori, deve versare il suo obolo, il 10 per cento dell'appalto che in quel caso ammontava a 140 milioni”.
All’epoca di Mani Pulite, io avevo presso a poco 7 anni.
Difficile per un bambino di sette anni capire il momento politico che stava attraversando l’Italia di quegli anni.
Ricordo però chiaramente la televisione. Ricordo come, nei giorni e nei mesi che certo pool? (parola allora a me sconosciuta) di magistrati, guidato dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, avevano trovato, e senza alcune indugia, letteralmente scoperchiato il vaso di Pandora di corruzione e bustarelle della politica italiana. Un sistema che includeva: corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano, che fu poi chiamato, Tangentopoli.
In quel caso, furono coinvolti ministri, deputati, senatori, imprenditori, fino ad arrivare a ex presidenti del Consiglio.
Ecco, io ricordo la televisione che mostrava due facce di una stessa medaglia: da un lato i partiti con i suoi esponenti che si ritrovarono letteralmente immersi nello scandalo che portò, oltre alla morte fisica di esponenti politici e non, alla fine dei principali partiti italiani, tra cui: la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il PSDI e il PLI,  tanto che successivamente si arrivò a parlare di una nuova fase italiana detta Seconda Repubblica.
Ecco, io mi ricordo di come questo tema fu affrontato dai giornali in modo caparbio, senza indugiare, con giornalisti e Pm in qualche modo “uniti” da uno stesso intento di trovare i cattivi e fare giustizia, ma soprattutto di un popolo italiano allibito che finalmente mostrava la sua vera forza e indignazione.
Credo sia fondamentale soffermarsi un attimo, sulle reazioni che ebbero i cittadini italiani, traditi da un movimento politico che non rappresentava in nessun modo, quelli’idea di Stato che (poco) ci insegnano nelle scuole.
 A differenza di allora ad esempio, in cui l’opinione pubblica dopo l'iniziale smarrimento, si schierò in massa dalla parte dei PM: la giustificazione stessa della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, era percepita come priva di senso, visto che per anni era stata spiegata con le necessità di sostentamento della politica ed ora si scopriva che ciò non aveva fatto venir meno la corruzione. Oggi c’è sostanziale disinteresse, si è creato nei cuori degli italiani una sorta di callo duro da togliere in cui, la corruzione politica generale ha portato l’italiano medio a pensare che tanto i politici sono tutti uguali, corruttibili e corruttori.
Ma, tornando per un attimo al passato, uno dei primi grossi cambiamenti che si ottenne, (almeno sul momento) con la scoperta di Tangentopoli, fu proprio l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Prima grande farsa all’italiana venduta dai politici ai propri elettori: difatti, dopo l’abolizione del finanziamento ai partiti, questo venne reintrodotto sotto forma diversa con la cosiddetta legge elettorale “porcata” e con l’immediata reintroduzione del finanziamento dei partiti, nonostante fosse stato abrogato nel 1993 con referendum dagli Italiani, fu reintrodotto con un nome diverso (rimborsi elettorali) nello stesso anno.
Consentitemi di dirlo: l’ennesima presa di culo dei rappresentanti dello Stato dei confronti  dei propri cittadini.
Questa mia lunga premessa l’ho ritenuta fondamentale per capire, seppur a grandi linee, se esiste un parallelo tra la vecchia Tangentopoli e ciò che sta succedendo in questi giorni.
Ritornando quindi al presente, vorrei prendere spunto da un’analisi sarcastica ma molto pungente fatta dal comico Maurizio Crozza, intervenuto come ogni martedì alla trasmissione politica Ballarò, in cui, con sottilissima ironia, si sofferma su un punto che credo sia importante tener presente, per cercare di capire come sia stato possibile che dei Tesorieri di partito prima e degli esponenti politici poi,  abbiamo potuto rubare milioni di euro alle casse dello Stato.
Inoltre, tanto per far capire la mia buona fede in ciò che sto scrivendo, vorrei citare una testata giornalistica che senza dubbio non fa parte del mio modus pensantis.

Per riassumere: in un articolo apparso due giorni fa sul quotidiano Il Giornale, il giornalista Paolo Bracalini, fa un’analisi dei Rimborsi elettorali, in cui Titola:

Italia sprecona Londra spende 25 volte di meno In Inghilterra la spesa annuale è di 12 milioni di euro da noi di 289. In Spagna un tetto a 82 milioni”.
E’ interessante cercare di capire come sia possibile che in un paese come l’Italia, i costi della politica siano esponenzialmente alti comparati con altri paesi Europei simili in qualche modo a noi, per storia, economia e popolazione.
La mia risposta almeno per quando riguarda la parte di comunicazione politica è la seguente:
Non esiste alcun parallelo con la Tengentopoli della Prima Repubblica.
Ciò che sta avvenendo oggi è lo specchio di una società corrotta e senza il minimo basilare valore nei confronti e nel rispetto degli altri.
I nostri politici semplicemente cavalcano quest’onda di disinteresse collettivo, facendo più che possono i loro interessi, fino a quando anche loro non esagerano e vengono scovati.

Ma almeno, durante gli scandali che portano alla luce la corruzione delle varie correnti politiche, tra cui Il Partito Socialista di Craxi, almeno, e questo non avrei mai creduto di scriverlo, vi erano degli uomini, che per vergogna si sono autosospesi, sono scappati in altri paesi, hanno avuto il “coraggio” di farsi processare, in ultima istanza si sono uccisi.
Sembra assurdo e paradossale ma in Italia ormai chi decide di non avvalersi del diritto parlamentare a non farsi processare, o chi decide di avere un processo che sia equo senza aspettare i vari rinvii a giudizio e le varie prescrizioni, è almeno davanti ai miei occhi un uomo.
La classe politica che abbiamo davanti non è fatta di uomini, è fatta di persone furbe, meschine, doppio-giochiste, arriviste, ma soprattutto non preparate, ignoranti e quel che è peggio bugiarde.
Ricordo, durante i miei anni di formazione più che politica, culturale, di persone appassionate come Berlinguer, di sognatori come Togliatti, di politici come Alcide De Gasperi, di uomini insomma che facevano della loro forte passione per la Cosa pubblica, uno stile di vita, e che sapevano di quanto importante fosse il ruolo istituzionale che ricoprivano.
Ecco, questi erano grandi uomini prima di essere grandi comunicatori, persone che sapevano toccare il cuore delle persone.
I politici di oggi sanno solo toccare il portafoglio di persone che realmente non hanno un futuro davanti a sé.
Non è tanto il fatto di dire, gli italiani non arrivano più alla fine del mese, qui si tratta di un piano diverso.
Qui non esiste futuro per nessuno, ma continuiamo a farci governare da persone che tutto sono tranne che politici o comunicatori.
 Questa nuova classe politica non si rivolge al cittadino, non conosce le problematiche economiche della famiglia media, ma soprattutto non è il loro interesse primario.
Perché nessun politico è colto da infarto durante un comizio, perché nessuno difende i nostri interessi? Perché nessuno va in Parlamento nemmeno quando dovrebbe, perché se parli di NO TAV subito vieni additato dalla politica come anarchico senza ideali. La risposta è semplice: perché oltre ad avere sempre interessi economici propri in ballo, non hanno né la voglia né la competenza di argomentare le proprie posizioni.
Questa è la parte più triste.
Abbiamo una classe politica che non ci rappresenta, ma purtroppo anche se ci rappresentasse non avrebbe i mezzi culturali per farlo.
Visto che, è notizia di questi giorni che un partito come la Lega Nord, che da sempre si batteva contro Roma ladrona, viene scoperta con le mani nella marmellata a comprare diplomi e lauree.  
Arrivo quindi alla conclusione di quello che sarà il futuro quanto meno del mio blog.
Reputo fondamentale, con i giorni che stiamo vivendo, far sentire il più possibile il nostro disappunto nei confronti di chi ci governa, o almeno dovrebbe farlo.
Vorrei terminare questa mia riflessione con due domande:
-       Fino a che punto è giusto ingoiare e accettare questo stato di cose? In cui chi dovrebbe rappresentarci, fa soltanto i propri meschini interessi e dei pochi lecca piedi che si portano a giro?
-       Esiste un limite di sopportazione non violenta oltre il quale è giusto non andare o forse è giusto che i cittadini si riprendano ciò che è loro di diritto, cioè la possibilità di avere al Governo persone DEGNE, INCORRUTTIBILI e ONESTE?

Concludo con una famosa frase ovviamente non mia:
I popoli non dovrebbero aver paura dei propri governi: sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli.